Biologi per la Scienza
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COVID-19 Opinioni

Cara Repubblica, alla fine avevamo ragione noi sul coronavirus trasportato dalle polveri sottili

In questo post vi vogliamo raccontare di come siamo finiti a parlare di particolato atmosferico e diffusione del SARS-CoV-2 nientepopodimeno che su Repubblica.

Primo disclaimer. Biologi per la Scienza è un progetto nato da un articolo di Repubblica. Non abbiamo pregiudizi nei confronti della testata, anzi.

Fatta la premessa torniamo a noi. Nel periodo di forti restrizioni, a marzo 2020, sulle principali testate giornalistiche italiane compare la notizia:

“Perché l’inquinamento da Pm10 può agevolare la diffusione del virus” (sole 24 ore),

“Coronavirus, lo studio: Smog e polveri sottili hanno accelerato la diffusione di Sars Cov2” (il fatto quotidiano)

“Coronavirus: l’inquinamento ha aperto la strada alla diffusione dell’infezione” (Repubblica).

La Lombardia è la regione italiana con più casi, epicentro dei contagi in Italia e Europa. La domanda sorge spontanea: perché? Nello stereotipo classico della Pianura Padana tre cose non possono mancare: la nebbia, la polenta e l’inquinamento. Non è che una di queste peculiarità lombarde è collegata con l’esplosione dei casi di coronavirus?

Secondo disclaimer. L’inquinamento fa male, esiste ed è un problema.

Non stiamo parlando di una maggior incidenza di casi gravi nei territori più inquinati. Qui il discorso è diverso, c’è un’ipotesi: il virus è trasportato dal particolato atmosferico?

Il metodo.

La “notizia” è nata da un position paper, cioè un pdf presente sul sito della società italiana di medicina ambientale (SIMA) che presentava un’opinione di studio. Già solo così si sarebbe dovuti andare con i piedi di piombo. Un position paper non è un articolo scientifico. In un position paper posso scrivere di essere Zorro, nell’articolo scientifico devo dimostrare, ad altri scienziati che lo valutano, che ho dei dati a supporto della mia teoria e che io sono veramente Zorro. In poche parole, il position paper, affermava che c’era una stretta correlazione tra inquinamento e casi di covid-19 nella pianura padana. Lo scriviamo in grande per essere capiti.

Correlazione non implica causalità (!)

Possono esserci diverse spiegazioni al perché la Lombardia sia stata la prima regione colpita dal virus. Noi, nel nostro piccolo, avevamo proposto alcuni spunti.

  • La Lombardia è una realtà con più rapporti internazionali rispetto al resto dell’Italia (merci, persone e conoscenze entravano e uscivano dalla regione con frequenza maggiore)
  • È (per poco) la seconda regione per densità di popolazione e prima per numero di abitanti. Più persone significa più interazioni.
  • L’istat nella situazione pre covid scriveva che nelle strutture ricettive al turismo la Lombardia aveva il 60% di clientela straniera. A questi bisogna poi aggiungere i flussi di persone straniere che si muovo per lavoro.

Affermazioni forti richiedono accurate dimostrazioni. Non lo abbiamo scritto palese ma notizie rilanciate in questo modo, senza una precisa spiegazione dell’incertezza, possono creare una generalizzata sfiducia. Che senso ha, per me cittadino che legge queste notizie, l’uso della mascherina e del distanziamento se tanto il virus viaggia dappertutto con il particolato? La prima risposta emotiva è la rassegnazione. Abbiamo visto che non è così, l’azione del singolo conta nella gestione dei contagi. Forse, ci dimentichiamo di ribadire con forza che solo grazie a questi sacrifici ci siamo evitati restrizioni (e danni) ben più pesanti.

Il merito.

Lo studio si inserisce in una discussione scientifica non ancora del tutto chiarita: il SARS-CoV-2 è airborne? Si diffonde solo con le goccioline d’acqua del nostro respiro (droplets) o con particelle ancora più piccole? Non sono solo pippe accademiche, se il virus viaggia con le droplets per infettarsi c’è bisogno di uno stretto contatto mentre se il virus è airborne c’è il rischio di infezione anche a distanze maggiori e soprattutto in luoghi non ventilati e al chiuso.

Viruses can spread through the air in two ways: inside large droplets that fall quickly to the ground (red), or inside tiny droplets that float in the air (gray). In the first route, called droplet transmission, the virus can spread only about 3 to 6 feet from an infected person. In the second route, called airborne transmission, the virus can travel 30 feet or more.

L’organizzazione mondiale della sanità ha scritto in un report:

“Outside of medical facilities, some outbreak reports related to indoor crowded spaces (40) have suggested the possibility of aerosol transmission, combined with droplet transmission, for example, during choir practice (7), in restaurants (41) or in fitness classes. (42).”

Che tradotto più o meno dice questo: ci sono studi che suggeriscono che il contagio possa essere airborne in spazi chiusi affollati come ad esempio al ristorante, lezioni di fitness o durante le prove di coro.

Transmission of SARS-CoV-2: implications for infection prevention precautions (9 July 2020)

Il passaggio da “il virus è airborne” (quindi un problema soprattutto per gli spazi chiusi affollati) a “il virus è trasportato dal particolato atmosferico” è un salto importante.

Uno studio su Nature uscito il 1 ottobre 2020 dal titolo “Impact of meteorological conditions and air pollution on COVID-19 pandemic transmission in Italy” (qui) mostra una correlazione negativa tra temperatura e una positiva con la presenza di PM2.5 in Italia, tuttavia concludendo:

“It is also important to stress that both the meteorological and air-pollution variables are co-factors in COVID-19 pandemic transmission. Their influence is still marginal while all the epidemiological aspects should not be neglected and have obviously the primary role.”

È importante ribadire che le condizioni meterologiche e le variabili dell’inquinamento dell’aria sono co-fattori nella trasmissione del virus. La loro influenza è marginale mentre tutti gli aspetti epidemiologici non devono essere negati e hanno primaria importanza.

Lolli, S., Chen, YC., Wang, SH. et al. Impact of meteorological conditions and air pollution on COVID-19 pandemic transmission in Italy. Sci Rep 10, 16213 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-73197-8

Che è decisamente diverso da dire che il particolato atmosferico ha aperto le strade ai contagi.

Per concludere e per onestà intellettuale. Lo studio del position paper della SIMA è diventato poi un articolo scientifico? Si. Ha dimostrato in maniera inequivocabile che il virus è trasportato dal particolato atmosferico? No. Quello che sappiamo al momento è che nell’aria di alcune città sono stati ritrovati frammenti di RNA del SARS-CoV-2.

Frammenti di RNA non sono un intero genoma a RNA e tantomeno un virus capace di infettare. Per fare un paragone: se troviamo un sedile di un’auto possiamo dire di aver davanti a noi un’auto? No, il sedile sta all’interno dell’auto (il capside virale) e l’auto per funzionare (cioè infettare nel caso del virus) deve essere sufficientemente integra e ben assemblata. L’ipotesi è tutt’altro che confermata e ha bisogno di ulteriori prove.

Come siamo finiti su Repubblica?

Il nostro post di “critica” (rivolta più ai giornali che agli scienziati) scritto sui social raggiunse anche la giornalista di Repubblica che ci chiese un’intervista telefonica. Non siamo soliti accettare interviste, ma in questo caso ci è sembrato sensato parlare. Il risultato? Un nuovo articolo incomprensibile. Andiamo per punti. Esce una notizia sensazionalistica (si lo è) sul virus trasportato da particolato, una teoria ancora non dimostrata. Chiediamo maggiore attenzione nel dare nelle notizie. La critica non è ideologica, se la SIMA dimostrasse un giorno quanto ha detto saremo ben contenti di prendere atto della realtà delle cose.

Riassunto di cosa passa nell’articolo: Biologi per la Scienza, ignoti in cerca di pubblicità.

Per rispondere alla nostra critica il presidente della Sima afferma che non citiamo la letteratura e che non ci siamo firmati per nome e cognome. Sicuramente il presidente si è trovato a commentare qualcosa riportato sommariamente al telefono dalla giornalista, perché sarebbe bastata una ricerca su Google per trovare i nostri nomi, cognomi, corsi universitari, profili Instagram e con un po’ di impegno gusti di gelato preferiti.

Ma veniamo alla giornalista e Repubblica: intervista al telefono Giovanni che le spiega (BENE) che siamo tre studenti, cosa tra l’altro già esplicitata ovunque sulla nostra pagina, e nonostante ciò nell’articolo riesce a definirci “movimento”, “gruppo di professionisti” ed “esperti di Biologia”: siamo lusingati, ma non abbiamo né ci arroghiamo nessuno di questi titoli (ora siamo felicemente dei laureati magistrali). Per la serie “informazioni reperibili sulla nostra pagina” c’erano i nostri nomi: giusto per puntualizzare è SpanU con la U non Spano come scritto nell’articolo.

Ma non finisce qui. Chi viene intervistato in questo purè di articolo? Ma sì, Vincenzo D’Anna che per una volta poteva benissimo essere lasciato in pace visto che nessuno lo aveva citato. D’Anna ci definisce a sua volta “tre neolaureati in cerca di pubblicità” (non eravamo 3 ignoti che non si firmano?) e dice “non credo che abbiamo qualifiche tali da potersi permettere di mettere in discussione le posizioni delle società scientifiche”.

Certo, detto da uno la cui unica qualifica scientifica è una laurea in Scienze Biologiche presa degli anni ’70 ci pare un filo incoerente, ma non ci va di attaccarci troppo ai titoli. Preferiamo attaccarci ad altre dichiarazioni del presidente, tipo quella in cui ha sostenuto che il coronavirus che affliggeva l’Italia in quel periodo non sia stato il virus comparso a Wuhan, ma un non meglio precisato coronavirus autoctono della Lombardia di cui ovviamente ad oggi esistono zero prove scientifiche a sostegno. Chi invece non ha prenso le distanze da quanto abbiamo scritto è Pierluigi Lopalco, epidemiologo.

Morale della storia, cara Repubblica avevamo ragione noi. La notizia era sensazionalistica. Abbiamo cercato di spiegarti cosa non andava ma hai preferito fare un nuovo articolo cercando di metterci in cattiva luce. Ma questo è il meno. Leggere articoli di questo genere per un lettore senza competenze scientifiche è semplicemente incomprensibile. Forse sarebbe stato più utile informarsi e chiedere aiuto a qualche esperto di epidemiologia per scrivere un articolo ben chiaro su cosa si sapeva e non del rapporto tra virus e particolato atmosferico. Ma non si è fatto e questo è il danno peggiore.

Biologi per la scienza con i nomi
Gianluca Masella
Giovanni Schiesaro
Riccardo Spanu

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