Biologi per la Scienza
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COVID-19 Opinioni

Two dosi is megli che one

A fine dicembre l’Inghilterra ha deciso di portare a 12 le settimane tra la prima e la seconda dose di vaccino Pfizer, andando contro la raccomandazione di 21 giorni fatta dall’azienda. Per quanto la protezione offerta da una sola dose sia infatti sicuramente inferiore a quella “completa”, il razionale dietro questa politica vaccinale è il seguente: meglio proteggere poco tante persone piuttosto che proteggere tanto poche persone.

Nonostante l’obiettivo sembri condivisibile, nella realtà dei fatti questa idea si basa più su assunzioni speranzose che su dati scientifici.

I dati

Dai dati del trial Pfizer si nota come il vaccino effettivamente sembri cominciare a fare effetto a partire dal dodicesimo giorno, offrendo, tra la prima e la seconda dose, una protezione di poco superiore al 50%.

Quel 50% ha però un intervallo di confidenza di più o meno 20%, il che significa che nella migliore delle ipotesi una dose potrebbe proteggere al 70% e nella peggiore al 30%. I dati (molto preliminari e parziali) provenienti da Israele sembrano farci propendere per la seconda opzione.

Nella migliore delle ipotesi una dose potrebbe proteggere al 70%, nella peggiore solo al 30%

Quel dato di efficienza inoltre descrive la protezione offerta dal vaccino tra il giorno 0 (prima dose) e il giorno 21 (seconda dose), ma non ci dice nulla su cosa succeda dopo.

Questa protezione resta costante? Aumenta? Diminuisce? Non lo sappiamo.

La matematica

Spostare la seconda dose a 12 settimane permette nel breve periodo di vaccinare il doppio delle persone, ma proteggendole di meno. Facciamo quindi un paio di conti.

Se una dose protegge al 40% (a metà strada tra i dati israeliani e quelli di Pfizer) e due dosi proteggano al 90% (meno dei dati Pfizer perché siamo pessimisti). Facciamo pure finta di avere solo 200 dosi visto che la quantità di vaccino è il fattore limitante.

Dando una dose posso vaccinare 200 persone proteggendole al 40%, il che significa che proteggerò 80 persone (il 40% di 200). Dando due dosi invece vaccinerò 100 persone proteggendole al 90%, il che significa che proteggerò 90 persone. Pur essendo un calcolo molto spiccio, è già abbastanza evidente fare una dose nel pratico non protegga affatto più persone.

Inoltre, la possibilità che una dose prevenga comunque i sintomi severi non è stata presa in considerazione per il semplice fatto che i dati al riguardo sono talmente incerti che tanto varrebbe giocare a tombola.

I rischi

Anche volendo sorvolare sugli evidenti problemi evidenziati già dalla cruda matematica, l’idea di posporre la seconda dose presenta anche delle criticità dal punto di vista medico e biologico.

La sola prima dose induce una produzione di anticorpi sicuramente meno abbondante e meno potente del trattamento completo e questo è una cosa dovuta al funzionamento intrinseco del nostro sistema immunitario, che affina le sue armi (gli anticorpi) ogni volta che rivede lo stesso virus (o vaccino).

I “mezzi vaccinati” sono la palestra ideale per allenare il virus e selezionare le varianti resistenti agli anticorpi prodotti dal vaccino.

Stando ai dati, la risposta anticorpale generata dopo una dose è parzialmente protettiva, fornendo una protezione praticamente a metà strada tra chi non ha anticorpi e chi ha quelli “finali” dopo le due dosi. Questa situazione intermedia fornisce al virus una “palestra intermedia” perfetta per allenarsi ad attaccare anche i vaccinati “completi”. In una situazione di epidemia sostenuta come quella attuale, il virus avrebbe molte occasioni di incontrare i “mezzi vaccinati” e conseguentemente più opportunità per migliorare gradualmente la sua capacità di sfuggire alla risposta immunitaria fornita dal vaccino, diventando resistente.

“Beh, ma tanto dopo 3 mesi si fa comunque la seconda dose e si arriva al 95% di protezione”.
Sarebbe bello, ma non lo sappiamo visto che nel trial la seconda dose è stata somministrata a 21 giorni.

Aumentando a 12 le settimane tra una dose e l’altra si rischia
l’effetto “libro dimenticato sul comodino”.

Il rischio in questo caso è quello di avere l’effetto “libro dimenticato sul comodino”.
Ce l’avete presente il libro che tenete a fianco al letto e che leggete una volta ogni morte di papa?
Se leggeste una decina di pagine ogni settimana riuscireste a seguire bene la trama, ma visto che lo aprite una volta ogni tre mesi vi ricordate a stento i nomi dei personaggi.

Lo stesso potrebbe accadere dilazionando le dosi: se troppo distante, la seconda dose potrebbe rivelarsi solo una deludente “seconda prima dose”, incapace di offrire la protezione completa.

Le conclusioni

Il gioco non vale la candela.

“Proteggere tutti un po’ ” non solo protegge un numero inferiore di persone rispetto a “proteggere qualcuno ma tanto”, ma ci espone anche a rischi non trascurabili. SARS-CoV-2 si è già dimostrato numerose volte un virus insidioso e imprevedibile, non è proprio il caso di offrirgli il fianco proprio ora che abbiamo un’arma efficace per combatterlo.

Il vaccino ha delle istruzioni precise, come i mobili Ikea: ignorandole ci esponiamo al rischio di rimanere schiacciati come sotto ad una libreria montata di fretta.




Riccardo Spanu, laureato in Pharmaceutical Biotechnologies presso l’Università degli Studi di Padova.

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